CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE E PERSONE QUEER

Il 25 novembre è stata la giornata per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne e la violenza di genere, istituita dall’ONU nel 1999. Questo giorno è stato scelto perché nel 1960 tre attiviste dominicane, Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal sono state violentate e uccise per ordine del dittatore Trujillo.

La lotta che conduciamo per il riconoscimento delle nostre identità queer è una lotta contro una società cis-etero normativa e patriarcale, la stessa società che vede il maschile e la mascolinità come superiori e migliori del femminile e della femminilità. La violenza misogina e la violenza di genere sono figlie di questa stessa idea. È violenza quando una donna viene uccisa dal proprio partner perché la considerava come una proprietà, quando i giornali nel riportare la notizia parlano di quanto fosse un bravo lavoratore, un’ottima persona e salutasse sempre. È violenza quando un uomo divulga dei contenuti privati e intimi che la sua ex partner gli aveva mandato, ed è violenza quando è lei a perdere il lavoro per questo. È violenza quando qualcunə viene stupratə omolestatə e invece di crederlə ci si chiede che cosa indossasse, se avesse bevuto, se davvero sia successo quello che dice o se se lo sta inventando. È violenza quando a una donna lesbica, bisessuale o asessuale viene detto che non ha ancora trovato l’uomo giusto.

In quanto collettivo queer vogliamo parlare di due situazioni in cui l’identità queer e la misoginia si intrecciano: violenza sulle donne bisessuali e transmisoginia.
Uno studio americano ha evidenziato come le donne bisessuali siano maggiormente vittime di molestie e violenza domestica, rispetto alle donne eterosessuali e omosessuali. Sempre lo stesso studio ha indicato come fattori di rischio la sessualizzazione attribuita dalla società e i pregiudizi nei confronti delle persone bisessuali. In pratica la differenza nel rischio di subire molestie è in parte spiegata da come la società vede le donne bisessuali, secondo una visione bifobica e misogina: come persone che vogliono fare sesso con chiunque ma essendo donne (e non uomini) questa è una cosa sbagliata di cui vergognarsi. Il dato che riguarda la maggior frequenza di episodi di violenza sulle donne bisessuali è spesso ignorato, se non addirittura invisibilizzato perché nella maggioranza degli studi non si ritiene che l’orientamento sessuale della persona che subisce la violenza sia un fattore rilevante, impedendo quindi una maggior ricerca di metodi di prevenzione di questa violenza.

Il termine transmisoginia è stato usato per la prima volta da Julie Serano, un’attivista trans, in ‘Whipping girl’ e viene definita come la combinazione tra misoginia e transfobia.
In un’intervista Serano fa un esempio di transmisoginia, raccontando quando una donna trans con un’espressione di genere femminile le era passata accanto per strada e lei aveva sentito un uomo lì vicino commentare: ‘hai visto quello e le schifezze che sta indossando?’. Serano in questo scambio evidenza la transfobia del commento e la misoginia (se la scena fosse stata la stessa ma con un uomo trans probabilmente non avrebbero insultato la sua espressione di genere maschile). La transmisoginia non colpisce solo le donne trans, ma anche le persone intersex e le persone trans e non binarie che sono, per identità o espressione di genere, lungo lo spettro del femminile, chiunque insomma secondo un’idea biologista “sceglie” la femminilità invece della mascolinità, “scelta” incomprensibile in una società patriarcale dove la mascolinità è considerata superiore e sempre preferibile. È importante parlare di trans misoginia, riconoscerla anche all’interno dei movimenti femministi e queer.

HIV/AIDS – PASSATO E PRESENTE DEL VIRUS CHE HA SCONVOLTO IL MONDO

Vi ricordiamo l’invito all’evento sulla nostra pagina Facebook giorno 5 dicembre alle ore 16 in cui discuteremo della situazione nella nostra città e regione Sicilia, in diretta insieme a professionistu e sieroattivistu per informarci sulla situazione negli ospedali messinesi.

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L’HIV è un virus che ha causato una delle epidemie più letali della storia e tutt’oggi è ancora in circolazione nel mondo e le vicissitudini legate ad esso partono da prima del 1980, impattando in modo molto più pesante sulle fasce sottorappresentate politicamente e ostracizzate socioculturalmente.

Il tutto parte, in via teorica, dall’africa subsahariana e più precisamente dal Congo e non si hanno numeri precisi su contagiati e deceduti precedentemente a questo momento; le cose diventano più strane quando in America si notano casi di uomini gay attaccati da particolari forme di polmoniti e dal sarcoma di Kaposi.

In questa fase vengono fatti degli errori cruciali in campagne di vaccinazione e, per ragioni economiche, il riutilizzo di siringhe si trasforma in veicolo di contagio del virus al di fuori del Paese; fra le nazioni più colpite sta l’Italia.

Sminuita la situazione e considerata una casualità entro la fine dell’anno (1980) spuntano oltre 270 casi e dal 1982 comincia ad essere più evidente la trasmissione per via sessuale, il CDC usa il termine “AIDS” per la prima volta, l’istituto Pasteur scopre il LAV (lo stesso retrovirus) e l’OMS convoca una riunione per discuterne.

Tuttavia è doveroso sottolineare che il primo vero nome dato all’HIV è “virus gay correlato”: il fortissimo stigma reprimerà e farà nascondere le key populations (soprattutto le persone nere nei ghetti) dallo screening medico, il tutto coadiuvato dall’ incapacità di trattarlo in modo efficace fino al ’96.

Il colpo mortale alla comunità LGBT+ americana non si fa aspettare: infatti Ronald Reagan (Presidente degli Stati Uniti d’America dell’epoca) si fa beffa di questa epidemia più volte e sottovaluta enormemente il pericolo trasformandolo in uno “spettacolo”, avrebbe potuto analizzare seriamente la situazione dall’inizio ma, come vedremo, si preoccuperà dell’epidemia una volta contagiata la parte eterosessuale della popolazione e taglierà persino il budget del CDC.

Un altro scandalo è avvenuto in nel campo medico italiano: la mancanza di test per la presenza di virus legati a epatiti virali o HIV per il sangue e gli emoderivati ha causato enormi problemi a persone emofiliache e talassemiche con un alto numero di contagi; le trasfusioni infette sono avvenute fra gli anni settanta e novanta e nessuno si aspettava tale inadempienza da parte dello Stato, ma ormai il danno era fatto.

In Cina avviene invece uno scandalo smascherato da una donna chiamata Shuping Wang che ha affrontato la società patriarcale e borghese della sua epoca per la salvezza dei suoi concittadini perdendo lavoro e famiglia: grazie a lei dal 1996 si praticano test per l’infezione di HIV prima di un prelievo.

Era riconosciuta la mortalità del 100% dell’HIV e anche con i primi screening e test decenti la popolazione gay rifiuta di esporsi all’apparato sanitario per paura e sofferenza

Nel 1984 invece l’Istituto Nazionale per il Cancro scopre HTLV-III annunciando che è uguale al LAV: la causa dell’AIDS. Riconosciuto il rischio le saune e sex club chiudono e l’anno successivo partono test per le trasfusioni e la commercializzazione di ELISA (un test per controllare la presenza di anticorpi al virus), terminando il periodo con un caso di AIDS in ogni regione del mondo.

A questo punto nascono dei gruppi di auto-aiuto composti da pazienti che collaborano, la cosa non dura molto e nel giro di tre anni i membri muoiono senza concludere molto.

I primi casi evidenziati dai media sono quelli di Ryan White (ostracizzato per la positività causata da una trasfusione) e Rock Hudson, che muore mentre è costretto per pressione sociale a mantenere segreta la sua omosessualità.

Dall’87 abbiamo il primo farmaco utile contro l’HIV (AZT) e si fa qualche passo timido con spot di sensibilizzazione e inutile dire che in Italia (’90) sarà un fallimento: il tutto viene portato avanti con nozioni stigmatizzanti mostrando un “contorno viola” delle persone infette.

Passa poco tempo e si scopre che in realtà il virus muta e cambia e che se sopravvive per sufficiente tempo i farmaci diventano inutili contro di esso. Anche i tre farmaci nuovi del ’96 sono soggetti all’adattamento del virus e anche se uniti sono molto difficili da assumere (in totale c’erano 12 pillole differenti da assumere in condizioni differenti), hanno effetti collaterali pesanti, pure una dimenticanza di un paio d’ore metteva a rischio e alcune persone erano addirittura resistenti agli effetti dei principi attivi.

Dopo i gruppi di auto-aiuto insorgono enormi movimenti per pazienti sieropositivu in Francia e Germania che obbligano le aziende farmaceutiche, con azione di distruzione di proprietà privata, a contrattare con chi doveva assumere questi farmaci, ottenendone di nuovi ma comunque molto costosi.

Come se non bastasse l’HIV già presente spunta un nuovo ceppo (HIV 2) in Africa e l’Europa sbaglia una seconda volta causa una crisi epidemica dove il problema principale è la trasmissione madre-figlio, Ciò non viene trattato e le donne restano particolarmente scoperte dai pochi e disorganizzati aiuti europei.

Dal 2000 in poi la distribuzione dei farmaci, previa collaborazione commerciale per aggiornarsi su nomi e caratteristiche del virus, diventerà più accessibile alla popolazione sieropositiva con delle percentuali alquanto rassicuranti e ci sarà una maggiore aderenza e un numero minore di casi di AIDS.

Una menzione particolare va alla PrEp (che permette prevenzione totale se unita ad altri farmaci), alla PeP (previene HIV se assunta entro 48 dalla sospetta trasmissione) e all’importantissima U=U (Undetectable=Untrasmittable) che permetteva anche alle persone con HIV di avere rapporti sessuali in assenza di protezioni senza che si trasmetta (se per tre mesi consecutivi si hanno meno di 50 unità di virus permillilitro di sangue).

Occorre sottolineare l’importanza delle campagne di sensibilizzazione in questo; ancora la nostra società associa all’HIV l’omosessualità e stereotipi negativi, spesso accompagnati da grave mancanza di conoscenze e quindi odio ingiustificato.

 

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