In quanto collettivo messinese è più che doveroso commentare questo episodio spiacevole passato al telegiornale locale – ringraziamo unu follower per la segnalazione. Rtp, giorno 26 Novembre, all’ora di pranzo, tra i vari servizi proposti, parla di una serie di arresti nei confronti di un uomo che av
rebbe utilizzato il proprio appartamento come casa d’incontri tra sex workers e clienti.
Nulla di nuovo, nulla di sconvolgente – se non fosse per come ne è stato parlato. Innanzitutto, alla lettura a inizio diretta dei servizi, si parla di “una donna e un transessuale” coinvoltu in un blitz. Si sottolinea più volte, nel servizio, che altru sex-workers erano di origine straniera – alimentando la visione popolare delle persone straniere come oggetti sessuali/sessualizzabili – e continuando a utilizzare il termine “prostitute”, una parola veramente obsoleta con i tempi che corrono.
Ciò che veramente ci ha fatto mobilitare è stata la frase “[…] due donne, anzi, una donna e un transessuale di origine campane […]”. Perché sottolineare la transessualità della persona? Il servizio continua utili
zzando il femminile plurale riferendosi allu sex-workers – facendoci intuire che entrambe fossero cis e/o si identificassero come donne -, ma qual è lo scopo di spiattellare allo spettatore l’identità di genere di una persona in modo così dispregiativo – “anzi, un transessuale”?
Questo atteggiamento – di sottolineare la nazionalità o l’identità di genere non conforme – porta solamente a un rafforzamento nell’immaginario collettivo che le persone non bianche e non cis sono più propense a lavorare come sex-workers – nell’accezione più dispregiativa e disumanizzante possibile.
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